Il protocollo di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento del nuovo coronavirus negli ambienti di lavoro; aggiornamento del 24 Aprile 2020

Paolo Mascitelli • 26 aprile 2020

 Versione aggiornata al 24 aprile del protocollo di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento del nuovo coronavirus negli ambienti di lavoro. Le novità in pillole.

All'esito dell'incontro tra Governo e varie organizzazioni di rappresentanza datoriali e sindacali, è stato concordato un aggiornamento del “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” firmato il 14 marzo 2020 in attuazione della misura (art. 1, comma 1, numero 9) del DPCM 11 marzo 2020, che raccomandava intese tra organizzazioni datoriali e sindacali.
 
La nuova versione tiene conto dei più recenti provvedimenti del Governo e del Ministero della Salute e, pur confermando tutti i punti del precedente “ Protocollo condiviso”, aggiunge nuove disposizioni a partire da quella relativa alla sospensione delle attività in carenza di sicurezza.

Una prima differenziazione sta nella cogenza delle misure da adottare secondo il protocollo: “la mancata attuazione del Protocollo che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza”. Sarà lo Stato che dovrà inserire la misura inibitoria tra le sanzioni applicabili, ma l'indirizzo "politico" è tracciato e ben chiaro.
 
Un’altra novità riguarda poi il tema dell’informazione.
Si indica che “l’azienda fornisce una informazione adeguata sulla base delle mansioni e dei contesti lavorativi, con particolare riferimento al complesso delle misure adottate cui il personale deve attenersi in particolare sul corretto utilizzo dei DPI per contribuire a prevenire ogni possibile forma di diffusione di contagio”.

Ecco quindi alcune delle novità operative dell’aggiornamento del Protocollo:

 L’ingresso in azienda (anche dei guariti) e la collaborazione tra committenti e imprese
“L’ ingresso in azienda di lavoratori già risultati positivi all’infezione da COVID 19 dovrà essere preceduto da una preventiva comunicazione avente ad oggetto la certificazione medica da cui risulti la “avvenuta negativizzazione” del tampone secondo le modalità previste e rilasciata dal dipartimento di prevenzione territoriale di competenza.
Qualora, per prevenire l’attivazione di focolai epidemici, nelle aree maggiormente colpite dal virus, l’autorità sanitaria competente disponga misure aggiuntive specifiche, come ad esempio, l’esecuzione del tampone per i lavoratori, il datore di lavoro fornirà la massima collaborazione”.
 
 Le modalità di accesso dei fornitori esterni (lavoratori terzi e la collaborazione tra committenti e imprese appaltatrici):
“in caso di lavoratori dipendenti da aziende terze che operano nello stesso sito produttivo (es. manutentori, fornitori, addetti alle pulizie o vigilanza) che risultassero positivi al tampone COVID-19, l’appaltatore dovrà informare immediatamente il committente ed entrambi dovranno collaborare con l’autorità sanitaria fornendo elementi utili all’individuazione di eventuali contatti stretti.
L’azienda committente è tenuta a dare, all’impresa appaltatrice, completa informativa dei contenuti del Protocollo aziendale e deve vigilare affinché i lavoratori della stessa o delle aziende terze che operano a qualunque titolo nel perimetro aziendale, ne rispettino integralmente le disposizioni”.
 
La sanificazione straordinaria le mascherine negli spazi comuni
“Nelle aree geografiche a maggiore endemia o nelle aziende in cui si sono registrati casi sospetti di COVID-19, in aggiunta alle normali attività di pulizia, è necessario prevedere, alla riapertura, una sanificazione straordinaria degli ambienti, delle postazioni di lavoro e delle aree comuni, ai sensi della circolare 5443 del 22 febbraio 2020”.
 
Relativamente ai DPI si aggiunge che “nella declinazione delle misure del Protocollo all’interno dei luoghi di lavoro sulla base del complesso dei rischi valutati e, a partire dalla mappatura delle diverse attività dell’azienda, si adotteranno i DPI idonei. È previsto, per tutti i lavoratori che condividono spazi comuni, l’utilizzo di una mascherina chirurgica, come del resto normato dal DL n. 9 (art. 34) in combinato con il DL n. 18 (art 16 c. 1)”.
 
I sintomatici in azienda:  “il lavoratore al momento dell’isolamento, deve essere subito dotato ove già non lo fosse, di mascherina chirurgica”.

L’organizzazione aziendale: 

a) “il lavoro a distanza continua ad essere favorito anche nella fase di progressiva riattivazione del lavoro in quanto utile e modulabile strumento di prevenzione, ferma la necessità che il datore di lavoro garantisca adeguate condizioni di supporto al lavoratore e alla sua attività (assistenza nell’uso delle apparecchiature, modulazione dei tempi di lavoro e delle pause)”.

b) “è necessario il rispetto del distanziamento sociale, anche attraverso una rimodulazione degli spazi di lavoro, compatibilmente con la natura dei processi produttivi e degli spazi aziendali. Nel caso di lavoratori che non necessitano di particolari strumenti e/o attrezzature di lavoro e che possono lavorare da soli, gli stessi potrebbero, per il periodo transitorio, essere posizionati in spazi ricavati ad esempio da uffici inutilizzati, sale riunioni.

c) l’articolazione del lavoro potrà essere ridefinita con orari differenziati che favoriscano il distanziamento sociale riducendo il numero di presenze in contemporanea nel luogo di lavoro e prevenendo assembramenti all’entrata e all’uscita con flessibilità di orari.

d) è essenziale evitare aggregazioni sociali anche in relazione agli spostamenti da e per  il posto di lavoro (commuting), con particolare riferimento all’utilizzo del trasporto pubblico. Per tale motivo andrebbero incentivate forme di trasporto verso il luogo di lavoro con adeguato distanziamento fra i viaggiatori e favorendo l’uso del mezzo privato o di navette”.
 
e) Il ruolo del medico competente e la sorveglianza sanitaria.
“il medico competente applicherà le indicazioni delle Autorità Sanitarie. Il medico competente, in considerazione del suo ruolo nella valutazione dei rischi e nella sorveglia sanitaria, potrà suggerire l’adozione di eventuali mezzi diagnostici qualora ritenuti utili al fine del contenimento della diffusione del virus e della salute dei lavoratori” (ad esempio tamponi)
“alla ripresa delle attività, è opportuno che sia coinvolto il medico competente per le identificazioni dei soggetti con particolari situazioni di fragilità e per il reinserimento lavorativo di soggetti con pregressa infezione da COVID 19”.
Particolare attenzione nella sorveglianza sanitaria dovrà essere riservata  ai soggetti fragili anche in relazione all’età.
Inoltre per il reintegro progressivo di lavoratori dopo l’infezione da COVID-19, “il medico competente, previa presentazione di certificazione di avvenuta negativizzazione del tampone secondo le modalità previste e rilasciata dal dipartimento di prevenzione territoriale di competenza, effettua la visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione (D.Lgs 81/08 e s.m.i, art. 41, c. 2 lett. e-ter) - anche per valutare profili specifici di rischiosità - e comunque indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia”.
 
Il Comitato per l’applicazione e la verifica delle regole del protocollo di regolamentazione.
Laddove non si desse luogo alla costituzione di comitati aziendali, verrà istituito “un Comitato Territoriale composto dagli Organismi Paritetici per la salute e la sicurezza, laddove costituiti, con il coinvolgimento degli RLST e dei rappresentanti delle parti sociali”. E potranno essere costituiti, a livello territoriale o settoriale, ad iniziativa dei soggetti firmatari del Protocollo, “comitati per le finalità del Protocollo, anche con il coinvolgimento delle autorità sanitaria locali e degli altri soggetti istituzionali coinvolti nelle iniziative per il contrasto della diffusione del COVID19”.
 
PROTOCOLLO_condiviso_SICUREZZA_aggiornamento.pdf
Autore: Avv. Veronica Luperini 2 novembre 2023
Il termine "sharenting" si riferisce alla pratica dei genitori di condividere costantemente contenuti online riguardanti i propri figli, come foto, video e ecografie. Questo neologismo deriva dall'unione delle parole inglesi "share" (condividere) e "parenting" (genitorialità). La pubblicazione in rete delle foto/video dei propri figli può comportare numerosi rischi che minacciano la privacy e la sicurezza dei minori tra cui: violazione della privacy e della riservatezza dei dati personali anche sensibili; mancata tutela dell’immagine del minore che a causa della permanenza in rete e dell’inevitabile perdita di controllo da parte dei genitore sul contenuto postato può essere utilizzata per fini impropri da parte di terzi (es. pedopornografia, ritorsioni etc); ripercussioni psicologiche sul minore rischiando di ritrovarsi con un'identità digitale costruita su immagini di cui non ha dato il proprio consenso, rischio di adescamento da parte di malintenzionati che possono sfruttare dati ed abitudini dei minori esposti online. Incremento episodi cyberbullismo E’ importante prestare attenzione quando si decide di pubblicare tali contenuti e seguire i suggerimenti forniti dal Garante della privacy tra cui: ✔️rendere irriconoscibile il viso del minore (ad esempio, utilizzando programmi di grafica per "pixellare" i volti) ✔️coprire i volti con una “faccina” emoticon; ✔️limitare le impostazioni di visibilità delle immagini sui social network solo alle persone che si conoscono o che siano affidabili e non le condividano senza permesso nel caso di invio su programma di messagistica istantanea; ✔️evitare la creazione di un account social dedicato al minore; ✔️leggere e comprendere le informative sulla privacy dei social network su cui carichiamo le fotografie.
Autore: Paolo Mascitelli 30 ottobre 2023
La retribuzione minima stabilita da un contratto collettivo nazionale sottoscritto dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative non basta a garantire il rispetto del principio di sufficienza e proporzionalità dettato dall’articolo 36 della Costituzione. La Corte di cassazione ha stabilito che anche in presenza di un accordo collettivo, spetta in ogni caso al giudice il potere di valutare la congruità del salario minimo stabilito dalle parti sociali, mediante una verifica costituzionalmente orientata di tale misura. Dalla "corretta lettura" dell’articolo 36 della Costituzione, infatti, la Corte giunge a ricavare il principio secondo cui ciascun lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Secondo la Corte (sentenze 27711 e 27769 del 2 ottobre 2023) l'articolo 36 della Costituzione evidenzia due diritti distinti ma interconnessi: il diritto a una retribuzione " proporzionata " in base alla quantità e qualità del lavoro e il diritto a una retribuzione " sufficiente" che assicuri una vita dignitosa per il lavoratore e la sua famiglia. La valutazione della congruità del salario minimo diventa, quindi, una valutazione flessibile dipendente dal contesto economico e sociale in evoluzione. La Corte ha introdotto un nuovo punto di vista sostenendo che per determinare il salario minimo non si debba considerare solo la soglia di povertà assoluta calcolata dall'Istat ma anche i concetti di sufficienza e proporzionalità. La Corte fa riferimento alla direttiva dell'Unione Europea sui salari adeguati che incoraggia gli Stati membri a garantire non solo i bisogni essenziali ma anche la partecipazione a attività culturali, educative e sociali. La valutazione che il giudice è chiamato a svolgere in merito alla congruità del salario minimo è dunque una valutazione fluida , dipendente dal contesto economico in evoluzione e non cristallizzata in parametri intangibili. Secondo gli Ermellini, quindi, si deve garantire al lavoratore una vita non solo non povera, ma anche dignitosa. In questo senso la Corte fa espresso riferimento alla recente direttiva Ue sui salari adeguati (n. 2022/2041) che sprona gli Stati membri a dotarsi di legislazioni nazionali orientate a garantire non solo il soddisfacimento di meri bisogni essenziali (quali cibo, alloggio, e così via) ma anche la legittima partecipazione ad attività culturali, educative e sociali. La direttiva Ue propone alcuni parametri per adeguare il salario minimo, come il potere d'acquisto dei salari rispetto al costo della vita e la distribuzione dei salari. Questo rappresenta un cambiamento rispetto alla precedente giurisprudenza che si concentrava su parametri come l'indice Istat di povertà o l'importo della Naspi o del reddito di cittadinanza. La Corte di Cassazione invita a valutare con prudenza gli scostamenti dalla contrattazione collettiva, ma le recenti sentenze rischiano di creare incertezza , passando dalla certezza dei contratti collettivi a un potenziale eccesso di discrezionalità nelle aule di tribunale. La massima: "Il giudice può discostarsi dal Contratto collettivo Il giudice deve fare riferimento innanzitutto alla retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria, dalla quale può tuttavia motivatamente discostarsi, quando la stessa entri in contrasto con i criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall’articolo 36 della Costituzione. Per la determinazione del giusto salario minimo il giudice può usare come parametro la retribuzione stabilita in altri contratti collettivi di settori affini e può fare altresì riferimento a indicatori economici e statistici, anche secondo quanto suggerito dalla direttiva Ue 2022/2041 del 19 ottobre 2022. Cassazione civile, sez. lavoro, 2 ottobre 2023 n. 27711 e n. 27769" Di altro avviso è il Tribunale di Milano che invece richiama espressamente la "prudenza" nel discostarsi dal salario indicato dal CCNL leader: "Ove la retribuzione prevista nel contratto di lavoro risulti inferiore alla soglia minima di sufficienza in base all’articolo 36 della Costituzione, il giudice adegua la retribuzione secondo i criteri costituzionalmente garantiti, con valutazione discrezionale. Ove però la retribuzione sia prevista da un contratto collettivo, il giudice è tenuto a usare tale discrezionalità con la massima prudenza, cura e attenzione e comunque con adeguata motivazione, giacché difficilmente è in grado di apprezzare le esigenze economiche, politiche e sindacali sottese all’intero assetto degli interessi concordato dalle parti sociali nel confronto che porta alla stipulazione del contratto collettivo. Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, 21 febbraio 2023 
Autore: Paolo Mascitelli 14 marzo 2023
La Cassazione torna a chiarire il "fenomeno" della colpa d'organizzazione rilevante ai sensi della punibilità dell'ente ex D.Lgs 231
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C orte di Cassazione , Sezione 4 , Penale , Sentenza 21 settembre 2022  n. 34943
Autore: Paolo Mascitelli 17 novembre 2022
Alla ricerca di una soluzione al problema di conformità.
Autore: Paolo Mascitelli 12 maggio 2022
Secondo la Cassazione n. 14760/22 è l egittimo il licenziamento della cassiera di un supermercato che per vincere i premi "cd fedeltà" carica i punti sulla propria carta, quando i clienti abbiano dimenticato o non abbiano proprio la tessera. Il caso A fronte del licenziamento disciplinare subito per i fatti in premessa, la dipendente assumeva a propria difesa la propria estraneità, deducendo che negli orari e nei giorni in cui risultavano eseguiti i fatti, ella si era alzata dalla propria postazione. I giudici di merito respingevano l'impugnazione, facendo gravare sulla dipendente l'onere della prova esimente, ritenendo già comprovata in via documentale la prova della giusta causa, in quanto tale fatto di per sé mina alla radice il rapporto fiduciario anche in ottica futura. Approdati dinanzi al giudice di legittimità, la Cassazione ha concluso per la legittimità della sanzione in funzione anche degli obblighi aziendali discendenti dal particolare rapporto di lavoro esistente tra le parti.T 
Autore: Paolo Mascitelli 22 febbraio 2022
Qualsiasi forma idonea a manifestare, chiaramente ed inequivocabilmente, la volontà di avvalersi dell'attività e dell'opera del professionista integra il presupposto necessario per dimostrare la debenza del compenso.
Autore: Paolo Mascitelli 3 marzo 2021
La Cassazione con ordinanza 5077/2021 rigetta il ricorso della ex moglie ed esclude il diritto all'assegno di divorzio, ribadendo le motivazioni già affermate dai giudici di secondo grado. Le indagini difensive del marito erano infatti in grado di fornire prova del fatto che la donna, nonostante le dimissioni formali al proprio datore di lavoro, continuava a prestare di fatto servizio nello studio professionale. Inoltre i problemi di salujte accusati dalla donna quali impedimenti per costituire forza lavoro autonoma e garantirsi un impiego, non si dimostrano fondati in quanto risulta essere nelle piene capacità lavorative.
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