Nonostante l’immediata risposta delle aziende nell’implementazione delle misure emergenziali anti-contagio da Covid-19, prima tra tutte la modalità di “lavoro agile” per i lavoratori, è evidente che il maggior rischio che si presenta nel mondo del lavoro sono le ricadute occupazionali, tanto che le stime da parte di vari centri studi autorevoli parlano di circa un milione e mezzo di posti di lavoro a rischio per la chiusura o quantomeno la contrazione delle attività commerciali, industriali e professionali.
L’intervento del governo a tutela dell'occupazione si è incentrato, in fase iniziale, nell'attivazione degli strumenti della cassa integrazione e nel blocco dei licenziamenti.
Il Governo, all’art 46 del decreto Cura Italia, ha stabilito il blocco dei licenziamenti dal 17 marzo 2020 al 16 maggio 2020, sia in termini di riduzione collettiva del personale sia per quanto riguarda il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art 3 della legge n. 604/1996, indipendentemente dal numero dei dipendenti.
Vediamo di seguito quali sono le due ipotesi di licenziamento non ammesse ex art 46.
Cosa si intende per “licenziamento collettivo”?
Il licenziamento collettivo, introdotto con L. 223/1991, è il fenomeno per il quale un’impresa opera una riduzione significativa del personale in un contesto di crisi, a seguito di una ristrutturazione produttiva oppure in vista di una possibile chiusura definitiva dell’azienda.
Differentemente da un licenziamento individuale la riduzione del personale che interessa più persone richiede dei requisiti più specifici e stringenti in ragione dell’impatto sociale che è in grado di generare. In ragione di questo è prevista una procedura specifica che si coordina con una trattativa sindacale in grado di commisurare tutti gli interessi in gioco.
La disciplina generale prevede che il licenziamento collettivo trovi applicazione soltanto per le aziende che superano i limiti dimensionali dettati dall'art.18 dello Statuto, nelle quali il datore voglia procedere con una riduzione di almeno 5 dipendenti in un arco temporale di 120 giorni all'interno della stessa provincia. Le piccole aziende che hanno al massimo 15 dipendenti non sono obbligate ad aderire a questa procedura e quindi, i licenziamenti sono semplicemente regolati dalla normativa dei licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo.
Il requisito dimensionale dell’azienda va calcolato considerando la media dei dipendenti occupati nell’azienda negli ultimi sei mesi, includendo anche apprendisti e assunti con contratto di inserimento.
La riduzione del personale con i licenziamenti collettivi è regolata direttamente dalla Legge n. 223 del 23 luglio 1991, integrata dalla Legge Fornero e infine, con il Job Act che ha operato su essa sostanziali modifiche.
Dopo aver comunicato alle rappresentanze sindacali la volontà di procedere con un licenziamento collettivo, datore di lavoro e sindacati danno luogo a uno o più incontri, per discutere sui criteri di scelta delle persone da mandare via. I criteri di scelta, in accordo sindacale, sono spesso i seguenti:
Gli esiti della consultazione ed anche i poteri di impugnazione da parte del dipendente licenziato saranno diversi a seconda che la procedura si concluda o meno con un accordo con le rappresentanze sindacali.
In caso di accordo, al lavoratore licenziato spetterà sempre il potere di impugnazione entro 270 giorni. Egli potrà in primo luogo contestare i criteri di scelta ed il giudice potrà dichiarare illegittimo il licenziamento. Se per il dipendente valeva il contratto a tutele crescenti, avrà diritto solo a un risarcimento danni, mentre in caso di assunzione antecedente al marzo 2015 egli godrà della "tutela piena" ed avrà diritto anche alla reintegra del posto di lavoro.
In caso di mancato accordo sindacale, il sindacato giurisdizionale vaglierà anche la sussistenza dei requisiti per l'obbligatorietà della procedura, il rispetto della stessa e la corretta applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori licenziati.
Cosa si intende per “giustificato motivo”?
Ai sensi dell’art 3 della legge n°604/1066, il licenziamento per giustificato motivo "oggettivo" si configura a causa di una esplicita necessità dell’impresa di interrompere il rapporto di lavoro per ragioni inerenti all’attività, alla produzione o all’organizzazione interna dell’impresa stessa.
Sono tre i presupposti che rendono legittima tale modalità di risoluzione del rapporto di lavoro:
- l’effettività e la sussistenza delle esigenze aziendali richiamate nella motivazione della lettera di licenziamento;
- il nesso eziologico tra le suddette esigenze aziendali e la soppressione della posizione lavorativa individuata;
- l'oggettiva impossibilità di ricollocare proficuamente il dipendente all’interno dell’azienda, anche assegnando mansioni diverse ed al limite di livello contrattuale inferiore.
Il giudice investito dell'impugnazione del licenziamento potrà verificare la coerenza del recesso rispetto alla modifica organizzativa attuata, alla stregua delle comuni regole tecniche di buona organizzazione ma relativamente al c.d. repechage, spetterà al lavoratore allegare o quantomeno indicare l'esistenza di specifici posti di lavoro nei quali egli avrebbe potuto essere ricollocato.
Il blocco dei licenziamenti a causa dell'emergenza.
Ecco il testo preciso della norma in commento: articolo 46 dl 18/2020:
"A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (sono i licenziamenti collettivi, ndr) è precluso per 60 giorni e nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020. Sino alla scadenza del suddetto termine, il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604 (è il licenziamento individuale per motivi economici).Ne deduciamo che il datore di lavoro non potrà recedere dal contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo per i prossimi 60 giorni, sospendendo inoltre le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020."
Il diritto del lavoro nel nostro ordinamento ammette ulteriori ipotesi di licenziamento che non risultano essere escluse all’interno del decreto “Cura Italia”.
La norma esclude dunque le seguenti modalità di licenziamento:
- Licenziamento per giusta causa o g.m.s: per trasgressione o inadempienza del lavoratore dipendente
- Licenziamento per fruizione del pensionamento per la “quota 100”
- Licenziamento per il raggiungimento del limite massimo di età per poter accedere alla pensione di vecchiaia
- Licenziamento per inidoneità del lavoratore alle mansioni affidate
- Licenziamento per risoluzione del contratto di apprendistato
Le agevolazioni per integrazione del salario ai dipendenti.
Nell’ottica di fornire la maggiore esistenza possibile alle imprese, il decreto Cura Italia ha previsto ulteriori sostegni per il mondo del lavoro, estendendo a tutto il territorio nazionale la possibilità di attivare le forme di integrazione salariale per il personale dipendente (CIGO-Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria, CIGS-Cassa Integrazione Straordinaria, FIS-Fondo d'Integrazione Salariale).
Grazie a tali misure, la richiesta è ammessa da parte di tutti i settori del privato, compreso quello agricolo e della pesca e può essere effettuata da tutte quelle aziende che hanno sospeso in tutto o in parte la loro attività, per una durata massima di nove settimane con il fine di coprire circa il medesimo periodo previsto per il blocco dei licenziamenti collettivi e individuali.
La possibilità di ricorrere a tale misura è consentita anche ai datori con un solo dipendente.