Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ottenuto da una società di vendita al dettaglio a fronte di merce non pagata, l’opponente, al fine di dimostrare gli accordi estintivi intercorsi tra le parti, ricorreva alla prova per testimoniale ed otteneva una pronuncia favorevole in primo grado proprio all’escussione della suddetta prova.
In appello si ribaltava l’esito, dato che la Corte rilevava d’ufficio l’inammissibilità della prova per effetto di quanto statuito dall’art 2725 cc., qualificandosi come di natura contrattuale l’eventuale accordo (transattivo) intercorso tra le parti e quindi da redigere necessariamente in forma scritta.
La questione quindi veniva impugnata in Cassazione, presso cui il convenuto opposto (attore sostanziale rispetto alla domanda), riproponeva la questione, ben dibattuta, relativa alla dedotta ammissibilità della prova testimoniale dei contratti per i quali la forma scritta è richiesta soltanto ad probationem.
La Corte di Cassazione, constatata l’esistenza di pronunce difformi da parte delle sezioni semplici, avocava il caso alle Sezioni Unite civili, anche tenuto conto dell’importanza della questione da dirimere.
Contratto con forma scritta ad probationem e ad substantiam.
Da osservare che in ordine alla prova testimoniale dei contratti, si contrapponevano due orientamenti.
Secondo l’indirizzo prevalente, solo per i contratti con forma scritta ad substantiam vige il regime di rigida inammissibilità della prova per testimoni, salvo che nelle ipotesi tassative di perdita incolpevole del documento; vizio rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado.
Per i contratti a forma scritta ad probationem, invece, la prova testimoniale sarebbe inammissibile ma solo in senso stretto, ovvero esclusivamente se rilevata dalla parte interessata entro il termine dell’art. 157 comma 2 cpc, nella prima istanza o difesa successiva al suo configurarsi, “con la conseguenza che la prova ammessa oltre i limiti predetti deve ritenersi altrimenti ritualmente acquisita, in conformità alle regole generali in tema di nullità di carattere relativo riguardanti l’ammissione e l’espletamento della prova in violazione degli artt 2721 e ss c.c.
A tale orientamento si contrapponevano alcune pronunce della Cassazione, secondo cui il regime di inammissibilità non poteva applicarsi diversamente a seconda della natura del contratto, dovendosi ritenere che “quando per legge o per volontà delle parti, sia prevista per un certo contratto la forma scritta ad probationem, la prova testimoniale che abbia ad oggetto, implicitamente od esplicitamente, l’esistenza del medesimo è inammissibile, salvo che non sia volta a dimostrare la perdita incolpevole del documento, così come è inammissibile la connessa prova per presunzioni”.
La soluzione delle Sezioni Unite
Con l’importante pronuncia in commento, le Sezioni Unite dichiarano di aderire al primo indirizzo sopra sintetizzato, ovvero a quello che prevede un criterio distintivo tra contratti ad substantiam ed a probationem.
Questo il principio di diritto.
“L'inammissibilità della prova testimoniale di un contratto che deve essere provato per iscritto, ai sensi dell'art. 2725, comma 1, c. c., attenendo alla tutela processuale di interessi privati, non può essere rilevata d'ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata prima dell'ammissione del mezzo istruttorio; qualora, nonostante l'eccezione d'inammissibilità, la prova sia stata egualmente assunta, è onere della parte interessata opporne la nullità secondo le modalità dettate dall'art. 157, comma 2, c.p.c., rimanendo altrimenti la stessa ritualmente acquisita, senza che detta nullità possa più essere fatta valere in sede di impugnazione.”
Ciò sta a significare che la parte che intende opporsi alla istanza di ammissione della prova testimoniale di un contratto con forma scritta ad probationem, se non vorrà che si verifichi la sanatoria del vizio, dovrà
- sollevare l’eccezione secondo le modalità di cui all’art. 157 comma 2 cpc, ovvero nella prima istanza o difesa successiva all’istanza stessa
- riproporre la stessa eccezione in sede di precisazione delle conclusioni;
- dedurre esplicitamente la questione in appello.