Una azienda intimava il licenziamento disciplinare di un proprio dipendente con mansione di portalettere, per scarsa diligenza e una perdurante inosservanza degli obblighi e dei doveri di servizio nello svolgimento della sua attività.
Ritenendo il licenziamento illegittimo, il dipendente impugnava il provvedimento di recesso dinnanzi al Tribunale di Roma; i giudici di primo grado non accoglievano il ricorso e riconoscevano una proporzionalità ai fatti della sanzione applicata.
La Corte d’Appello di Roma rigettava il reclamo confermando la decisione dei giudici di primo grado ed evidenziando la mancata diligenza del lavoratore dimostrata dal pervicace ritardo nella esecuzione della prestazione, causa di ingenti disservizi.
Il ricorso per Cassazione del lavoratore si motiva, sinteticamente, sull'accusa di due violazioni di legittimità riguardanti il caso in esame:
- violazione e falsa applicazione dell’art 3 e 4 dello statuito del lavoratori;
- violazione e falsa applicazione dell’art 4 del D.Lgs 151 /2015;
ART 3 STATUTO DEL LAVORATORI
E' ben noto che per "Statuto dei Lavoratori" si intende la Legge 20 maggio 1970 n. 300, che reca “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”. Si tratta di un corpo normativo fondamentale del diritto del lavoro italiano che, parzialmente modificato e integrato nel corso di questi decenni, ancora oggi costituisce la disciplina di riferimento per i rapporti tra lavoratore e impresa e i diritti sindacali.
Le forme e i limiti del potere di controllo del datore di lavoro disciplinati dagli artt. 1 (libertà di manifestazione del pensiero) , 2 e 3 (controllo sul patrimonio aziendale e sull'attività del lavoratore), 4 (tutela della privacy e limiti al potere di controllo datoriale da remoto) 5 e 6 ( controlli sullo stato di malattia e le perquisizioni sulla persona del lavoratore), 8 (divieto di indagini sulle opinioni).
L'articolo 3 dello Statuto, da un lato implica il riconoscimento del potere datoriale di esercitare i necessari poteri di controllo e vigilanza a tutela del patrimonio aziendale, ma stabilisce l'obbligo di pubblicità del personale addetto alla vigilanza, al fine di evitare che tale controllo sfoci nel controllo occulto sulle prestazioni del lavoratore,
Il personale preposto alla vigilanza deve essere posto a conoscenza dei lavoratori: “I nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell'attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati”.
ART 4 STATUTO DEI LAVORATORI
L’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori è stato riformato dal “Jobs Act” che ha introdotto importanti modifiche rispetto alla possibilità del datore di lavoro di operare un controllo sull’attività lavorativa svolta dai propri dipendenti.
Prima della riforma del 2015 vigeva un divieto assoluto di utilizzo di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori. Tale divieto veniva meno solo nei casi in cui il datore di lavoro, per esigenze organizzative, produttive o di sicurezza del lavoro, intendesse installare nuove apparecchiature dalle quali potesse derivare un controllo a distanza dell’attività lavorativa dei dipendenti: in tal caso, era necessario il previo accordo con le organizzazioni sindacali o, in mancanza, l’autorizzazione delle articolazioni locali del Ministero del Lavoro territorialmente competenti.
La riforma ha radicalmente ribaltato la prospettiva, passando da una formulazione precettiva inibitoria, ad una facoltizzante rispetto a tale potere, sempre riferito l’impiego di impianti audiovisivi e di altri strumenti che consentono un controllo a distanza dell’attività dei lavoratori (ad esempio, gli impianti di videosorveglianza); tale potere quindi è ben consentito ma a patto che si faccia precedere da un accordo sindacale circa le modalità di utilizzo di tali apparecchiature; in assenza di tale accordo, il datore di lavoro deve ottenere la previa autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro o del Ministero del Lavoro.
Ma se in tale prima parte della norma si è trattato di un cambio di prospettiva, pur in assenza di modifiche sostanziali, l'introduzione del secondo coma ha comportato una svolta epocale nel sistema giuslavoristico italiano, in quanto con tale norma, si legittima l’esercizio di un controllo a distanza (c.d. controllo diretto) effettuato sugli strumenti utilizzati e necessari per eseguire le mansioni da parte del lavoratore e sugli strumenti di rilevazione degli accessi e delle presenze (c.d. lettori badge). In questo caso, infatti, non c’è l’obbligo per il datore di lavoro di raggiungere una intesa sindacale o di ottenere l’autorizzazione ministeriale: il controllo è libero e può essere effettuato anche senza un’esigenza organizzativa o produttiva. In assenza di qualsiasi funzione di “filtro” attribuita alle organizzazioni sindacali o alla vigilanza del Ministero del Lavoro per mezzo della Direzione Territoriale del Lavoro, è il singolo lavoratore che dovrà verificare se il controllo è esercitato dall’imprenditore in modo legittimo ed eventualmente recarsi presso un sindacato o un legale per tutelare i propri diritti.
Le condizioni poste dalla norma al riguardo di tale potere ci controllo sono che:
- i lavoratori siano informati adeguatamente circa le modalità con le quali devono essere utilizzati gli strumenti concessi in dotazione e le modalità con le quali verrà esercitato il controllo;
- sia sempre rispettata la normativa in materia di privacy (Reg Ue 679/2026 e Codice Privacy n. 196/2003, così come modificato dal D.Lgs 101/2018).
L’inosservanza di anche solo una delle due condizioni indicate, rende illegittimo l’utilizzo delle informazioni ai fini, ad esempio, di un procedimento disciplinare e, quindi, anche di un licenziamento.
La decisione della Corte
Nel caso in esame la Corte ha ritenuto legittimo l'operato dell'impresa e quindi che non vi fossero elementi per cui potesse configurarsi una violazione degli articoli 3 e 4 dello Statuto dei Lavoratori, in ragione del fatto che il controllo realizzato si configura alla stregua di un controllo gerarchico realizzato da risorse interne all'impresa incaricate dal datore, senza che sia stato leso il principio di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto.
Secondo gli Ermellini è legittimo il controllo sul lavoratore avvenuto mediante l'organizzazione gerarchica della società: l'ispettore risulta essere titolato ad accertare mancanze specifiche del lavoratore ex art 2086 e 2014.
Si conferma e sottolinea il principio secondo cui dipendenti devono essere avvisati circa i nomi e le mansioni del personale addetto a vigilare sull'attività lavorativa, ma proprio per la particolare posizione di chi effettua i controlli deve ritenersi che le attività possono essere compiute di nascosto ai diretti interessati: la modalità occulta si giustifica senza che siano minati i principi di buona fede e correttezza, nei casi in cui la pregressa condotta non risulti essere palesemente inadempiente da parte dei dipendenti.
per ciò che concerne l'ipotesi di violazione dell'art. 4 dello statuto i giudici di legittimità ritengono che la tipologia di controlli effettuata dal datore nel caso in esame, non possa essere configurata quale "controllo diretto", riferibile esclusivamente all'uso di apparecchiature per controllo a distanza: il fatto esula dal divieto di cui all'art 4 l.300/70.