LO SAPEVI CHE..? Ecco le risposte alle controversie più frequenti ai tempi del Covid-19

Paolo Mascitelli • 17 aprile 2020

Riportiamo di seguito i quesiti più frequenti inerenti all’emergenza che null’ultimo periodo sono stati sottoposti alla nostra attenzione da parte dei clienti dello studio.

Il clima di emergenza sanitaria che stiamo respirando ha indotto inesorabilmente il Governo ad esporsi attraverso sussidi e soluzioni estreme con la finalità di ammortizzare una situazione di necessità non soltanto dal punto di vista sanitario ma con ripercussioni inesorabili sull’economia e sulla conduzione delle nostre vite.
Agli interventi statali hanno fatto seguito innumerevoli interrogativi inerenti alla gestione di situazioni specifiche, che richiedono dunque una interpretazione ed una chiave di lettura estremamente personale ai fini di mediare l’atto governativo e il caso specifico.

Famiglia e divorzio: Ho diritto allo spostamento per vedere mio miglio minorenne?

Nonostante gli obblighi introdotti dal Governo in termini di permanenza in casa se non per motivi urgenti di lavoro o comprovate necessità, l’emergenza non impedisce ad un genitore separato/divorziato il diritto di vedere i figli secondo il programma omologato o statuito all'esito del procedimento giudiziale.
Il Coronavirus non deve in alcun modo infatti limitare un genitore nel trascorrere del tempo con il bambino che vive con l’ex coniuge o compagna/o.
Per farlo non ci sono specifiche limitazioni: è concesso anche uscire dal comune di residenza e recarsi in un’altra Regione purchè il soggetto sia munito di autocertificazione nel quale si dichiara il motivo dello spostamento.
Non potendosi limitare il diritto di visita stabilito dal giudice o concordato al momento i del divorzio/separazione, è necessario fare affidamento sul buon senso dei genitori ai fini di evitare il contatto o lo spostamento in caso di sintomi influenzali o probabili modalità di contagio.
E’ doveroso specificare che in caso di un comportamenti che violano il diritto alla bigenitorialità o che speculano sull’emergenza con il mero fine di danneggiare il padre/la madre intento ad avvalersi di un proprio diritto, sarà inevitabile la conseguenza di rispondere dei fatti in tribunale, anche penalmente.

Canone d’affitto: E’ prevista per legge una riduzione dell’affitto per l’inquilino?
Al momento non è prevista alcuna norma di legge che riconosca un diritto per i conduttori o faccia sorgere in capo al proprietario l’obbligo di revisionare l’ammontare del canone.
Tutte le eventuali modifiche apportate consentite e apportate al caso specifico avvengono meramente attraverso discrezione del proprietario che ha libero arbitrio in merito alle dinamiche concordabili.
Gli inquilini in difficoltà dunque possono chiedere la riduzione temporanea accordata con il proprietario (specificando la durata della riduzione) o la ricontrattazione del canone di affitto, ferma restando la facoltà si sospendere il pagamento durante la sospensione dell'attività, qualora il rapporto contrattuale riguardi un'attività sottoposta al regime di sospensione.

Relativamente ai contratti ad "uso diverso" da quello abitativo, aventi ad oggetto attività chiuse in forza dei provvedimenti emergenziali, in sintesi,si può affermare che nonostante lo stato di necessità riconducibile ad una causa di forza maggiore, il conduttore:
  1. non può vantare alcun diritto alla riduzione del canone di locazione;
  2. può richiedere/ottenere la risoluzione del contratto;
  3. può sospendere il pagamento del canone sino a quando l’emergenza non sarà rientrata, ritenendosi corretta e giuridicamente fondata la sospensione dell''esecuzione delle proprie obbligazioni durante la chiusura de senza ulteriori conseguenze economiche a suo carico.
Qualsiasi accordo volontario tra inquilino e proprietario deve essere messo per iscritto, controfirmato e spedito per raccomandata da una delle due parti: a tal proposito è attiva una procedura semplificata e gratuita per la registrazione telematica dell’accordo, presso l’Agenzia delle Entrate, da completarsi entro 30 giorni.
La comunicazione della riduzione risulta fondamentale per lo stesso proprietario che in tal modo otterrà una riduzione delle imposte calcolate sul contrato rivisitato.
Anche in questo caso, lo studio segue attentamente le negoziazioni per la rimodulazione temporanea del canone, facendo appello al senso di responsabilità e di convenienza delle parti. Non sempre l'interesse del locatore è quello di mantenere inalterato il canone; ove tale pretesa risulti priva di una sostenibilità reale da parte del conduttore, il rischio è quello di ritrovarsi dopo qualche mese con una morosità ben difficile da recuperare; ecco quindi che è preferibile approfondire, caso per caso, le problematiche del proprio conduttore, capirne le esigenze e stabilire un canone adeguato e modulare, riapprodando al canone originario secondo un cronoprogramma ponderato.


SpostamentiPosso recarmi nella mia casa vacanza?
Il Governo ha espressamente vietato di trasferirsi per raggiungere la seconda abitazione intesa come proprietà in cui normalmente si trascorre il tempo libero o le vacanze. 
Non rappresentando in questo specifico caso una comprovata esigenza lavorativa, di assoluta urgenza o per motivi di salute, è vietato spostarsi, con qualsiasi mezzo, in un Comune diverso da quello in cui ci si trovava alla data del 22 marzo.
E’ giusto comunque specificare che, laddove nella seconda abitazione, sopraggiunga una situazione di urgenza che comporta la necessità di porre rimedio a situazioni estreme e imprevedibili di edilizia o sicurezza condominiale/pubblica (es. crolli, rottura impianto, effrazioni..),lo spostamento sarà consentito in ragione di una comprovata emergenza ben diversa dalla mera volontà di trascorrere il periodo di quarantena in una località differente.


Sanzioni: Se violo le misure di sicurezza previste commetto un reato?
In linea generale le limitazioni poste in essere dal Governo atte a contenere il contagio si traducono in una concreta limitazione della circolazione delle persone con il divieto assoluto di allontanarsi dalla propria esitazione se non per comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità e urgenza.
Nel decreto legge del 25/03 è stato previsto che il mancato rispetto delle misure di contenimento COVID-19, sia punito con sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 400 a 3000 euro; se la violazione avviene mediante l’utilizzo di un veicolo le sanzioni possono arrivare anche a 4000 euro.
Quest’ultimo decreto ha dunque depenalizzato quanto specificato del DPCM del 22 marzo, il quale incideva pesantemente sulle libertà fondamentali prevedendo l’insorgere del reato ex art 650 cp in caso di violazioni, tra l'altro suscitando molti dubbi di costituzionalità.
Resta invariato il caso in cui il fatto costituisca reato: in caso di accertata positività al virus, la violazione della quarantena comporta la denuncia per per gravi reati come omicidio, lesioni, epidemia, ai quali si risponde con sanzioni penali consistenti:
-nell’arresto da 3 a 18 mesi
- nel pagamento di una ammenda da 500 a 5000 euro, senza possibilità di oblazione
In seguito ai controlli posti in essere dalla forze armate per accertare il concreto rispetto delle misure atte a prevenire il contagio, è opportuno specificare che rendere dichiarazioni false nelle autocertificazioni consegnate durante i controlli, determina l’insorgenza del reato.
Attenzione: in caso controllo da parte delle forze dell’ordine a cui seguono di dichiarazioni non veritiere inserite all’interno dell’autocertificazione, come false generalità o motivi non corrispondenti alla verità dei fatti, il rischio è la denuncia per “Falsa attestazione e dichiarazioni mendaci” ex art 495 cp., con reclusione da 1 a 6 anni.

Alla luce di queste evidenze, è opportuno specificare che il decreto non può disciplinare tutte le ipotesi possibili, per questo ci si affida sempre al buon senso comune, ricordando che se non ci impegniamo tutti a rimanere a casa il più possibile sarà davvero difficile superare l’emergenza sanitaria in atto.

Autore: Avv. Veronica Luperini 2 novembre 2023
Il termine "sharenting" si riferisce alla pratica dei genitori di condividere costantemente contenuti online riguardanti i propri figli, come foto, video e ecografie. Questo neologismo deriva dall'unione delle parole inglesi "share" (condividere) e "parenting" (genitorialità). La pubblicazione in rete delle foto/video dei propri figli può comportare numerosi rischi che minacciano la privacy e la sicurezza dei minori tra cui: violazione della privacy e della riservatezza dei dati personali anche sensibili; mancata tutela dell’immagine del minore che a causa della permanenza in rete e dell’inevitabile perdita di controllo da parte dei genitore sul contenuto postato può essere utilizzata per fini impropri da parte di terzi (es. pedopornografia, ritorsioni etc); ripercussioni psicologiche sul minore rischiando di ritrovarsi con un'identità digitale costruita su immagini di cui non ha dato il proprio consenso, rischio di adescamento da parte di malintenzionati che possono sfruttare dati ed abitudini dei minori esposti online. Incremento episodi cyberbullismo E’ importante prestare attenzione quando si decide di pubblicare tali contenuti e seguire i suggerimenti forniti dal Garante della privacy tra cui: ✔️rendere irriconoscibile il viso del minore (ad esempio, utilizzando programmi di grafica per "pixellare" i volti) ✔️coprire i volti con una “faccina” emoticon; ✔️limitare le impostazioni di visibilità delle immagini sui social network solo alle persone che si conoscono o che siano affidabili e non le condividano senza permesso nel caso di invio su programma di messagistica istantanea; ✔️evitare la creazione di un account social dedicato al minore; ✔️leggere e comprendere le informative sulla privacy dei social network su cui carichiamo le fotografie.
Autore: Paolo Mascitelli 30 ottobre 2023
La retribuzione minima stabilita da un contratto collettivo nazionale sottoscritto dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative non basta a garantire il rispetto del principio di sufficienza e proporzionalità dettato dall’articolo 36 della Costituzione. La Corte di cassazione ha stabilito che anche in presenza di un accordo collettivo, spetta in ogni caso al giudice il potere di valutare la congruità del salario minimo stabilito dalle parti sociali, mediante una verifica costituzionalmente orientata di tale misura. Dalla "corretta lettura" dell’articolo 36 della Costituzione, infatti, la Corte giunge a ricavare il principio secondo cui ciascun lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Secondo la Corte (sentenze 27711 e 27769 del 2 ottobre 2023) l'articolo 36 della Costituzione evidenzia due diritti distinti ma interconnessi: il diritto a una retribuzione " proporzionata " in base alla quantità e qualità del lavoro e il diritto a una retribuzione " sufficiente" che assicuri una vita dignitosa per il lavoratore e la sua famiglia. La valutazione della congruità del salario minimo diventa, quindi, una valutazione flessibile dipendente dal contesto economico e sociale in evoluzione. La Corte ha introdotto un nuovo punto di vista sostenendo che per determinare il salario minimo non si debba considerare solo la soglia di povertà assoluta calcolata dall'Istat ma anche i concetti di sufficienza e proporzionalità. La Corte fa riferimento alla direttiva dell'Unione Europea sui salari adeguati che incoraggia gli Stati membri a garantire non solo i bisogni essenziali ma anche la partecipazione a attività culturali, educative e sociali. La valutazione che il giudice è chiamato a svolgere in merito alla congruità del salario minimo è dunque una valutazione fluida , dipendente dal contesto economico in evoluzione e non cristallizzata in parametri intangibili. Secondo gli Ermellini, quindi, si deve garantire al lavoratore una vita non solo non povera, ma anche dignitosa. In questo senso la Corte fa espresso riferimento alla recente direttiva Ue sui salari adeguati (n. 2022/2041) che sprona gli Stati membri a dotarsi di legislazioni nazionali orientate a garantire non solo il soddisfacimento di meri bisogni essenziali (quali cibo, alloggio, e così via) ma anche la legittima partecipazione ad attività culturali, educative e sociali. La direttiva Ue propone alcuni parametri per adeguare il salario minimo, come il potere d'acquisto dei salari rispetto al costo della vita e la distribuzione dei salari. Questo rappresenta un cambiamento rispetto alla precedente giurisprudenza che si concentrava su parametri come l'indice Istat di povertà o l'importo della Naspi o del reddito di cittadinanza. La Corte di Cassazione invita a valutare con prudenza gli scostamenti dalla contrattazione collettiva, ma le recenti sentenze rischiano di creare incertezza , passando dalla certezza dei contratti collettivi a un potenziale eccesso di discrezionalità nelle aule di tribunale. La massima: "Il giudice può discostarsi dal Contratto collettivo Il giudice deve fare riferimento innanzitutto alla retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria, dalla quale può tuttavia motivatamente discostarsi, quando la stessa entri in contrasto con i criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall’articolo 36 della Costituzione. Per la determinazione del giusto salario minimo il giudice può usare come parametro la retribuzione stabilita in altri contratti collettivi di settori affini e può fare altresì riferimento a indicatori economici e statistici, anche secondo quanto suggerito dalla direttiva Ue 2022/2041 del 19 ottobre 2022. Cassazione civile, sez. lavoro, 2 ottobre 2023 n. 27711 e n. 27769" Di altro avviso è il Tribunale di Milano che invece richiama espressamente la "prudenza" nel discostarsi dal salario indicato dal CCNL leader: "Ove la retribuzione prevista nel contratto di lavoro risulti inferiore alla soglia minima di sufficienza in base all’articolo 36 della Costituzione, il giudice adegua la retribuzione secondo i criteri costituzionalmente garantiti, con valutazione discrezionale. Ove però la retribuzione sia prevista da un contratto collettivo, il giudice è tenuto a usare tale discrezionalità con la massima prudenza, cura e attenzione e comunque con adeguata motivazione, giacché difficilmente è in grado di apprezzare le esigenze economiche, politiche e sindacali sottese all’intero assetto degli interessi concordato dalle parti sociali nel confronto che porta alla stipulazione del contratto collettivo. Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, 21 febbraio 2023 
Autore: Paolo Mascitelli 14 marzo 2023
La Cassazione torna a chiarire il "fenomeno" della colpa d'organizzazione rilevante ai sensi della punibilità dell'ente ex D.Lgs 231
Autore: PAOLO MASCITELLI 21 dicembre 2022
C orte di Cassazione , Sezione 4 , Penale , Sentenza 21 settembre 2022  n. 34943
Autore: Paolo Mascitelli 17 novembre 2022
Alla ricerca di una soluzione al problema di conformità.
Autore: Paolo Mascitelli 12 maggio 2022
Secondo la Cassazione n. 14760/22 è l egittimo il licenziamento della cassiera di un supermercato che per vincere i premi "cd fedeltà" carica i punti sulla propria carta, quando i clienti abbiano dimenticato o non abbiano proprio la tessera. Il caso A fronte del licenziamento disciplinare subito per i fatti in premessa, la dipendente assumeva a propria difesa la propria estraneità, deducendo che negli orari e nei giorni in cui risultavano eseguiti i fatti, ella si era alzata dalla propria postazione. I giudici di merito respingevano l'impugnazione, facendo gravare sulla dipendente l'onere della prova esimente, ritenendo già comprovata in via documentale la prova della giusta causa, in quanto tale fatto di per sé mina alla radice il rapporto fiduciario anche in ottica futura. Approdati dinanzi al giudice di legittimità, la Cassazione ha concluso per la legittimità della sanzione in funzione anche degli obblighi aziendali discendenti dal particolare rapporto di lavoro esistente tra le parti.T 
Autore: Paolo Mascitelli 22 febbraio 2022
Qualsiasi forma idonea a manifestare, chiaramente ed inequivocabilmente, la volontà di avvalersi dell'attività e dell'opera del professionista integra il presupposto necessario per dimostrare la debenza del compenso.
Autore: Paolo Mascitelli 3 marzo 2021
La Cassazione con ordinanza 5077/2021 rigetta il ricorso della ex moglie ed esclude il diritto all'assegno di divorzio, ribadendo le motivazioni già affermate dai giudici di secondo grado. Le indagini difensive del marito erano infatti in grado di fornire prova del fatto che la donna, nonostante le dimissioni formali al proprio datore di lavoro, continuava a prestare di fatto servizio nello studio professionale. Inoltre i problemi di salujte accusati dalla donna quali impedimenti per costituire forza lavoro autonoma e garantirsi un impiego, non si dimostrano fondati in quanto risulta essere nelle piene capacità lavorative.
Show More