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Tre sanzioni da 5 punti in un anno: obbligatoria la revisione della patente anche senza comunicazione all’automobilista

Paolo Mascitelli • 17 dicembre 2020

Corte di Cassazione, sezione terza civile, con ordinanza numero 28298/2020:  necessaria la verifica delle capacità di guida anche senza comunicazione all’automobilista. 

Il caso 
Il caso finito all'esame della Cassazione riguarda un automobilista cui viene comunicata dalla Motorizzazione Civile «la sospensione della patente di guida» per aver cumulato infrazioni da cinque punti nel medesimo anno e quindi l’obbligo della «revisione della patente mediante nuovo esame di idoneità tecnica» da sostenere entro trenta giorni.
All'esito dell'impugnazione promosso avverso tale decisione, i giudici di merito ritenevano non corretta la linea seguita dalla Motorizzazione Civile, alla luce del fatto che allo stesso non erano state comunicate le variazione del punteggio della patente.
Il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, per tramite dell''Avvocatura di Stato, conduce il caso dinanzi alla Suprema Corte contestando fortemente la valutazione compiuta in secondo grado.
Innanzitutto, l’Avvocatura dello Stato deduce che non può essere «essenziale requisito di validità del provvedimento di revisione della patente di guida la previa comunicazione della variazione del punteggio della patente» dato che «la prescrizione dell’art. 126-bis, comma 3, del codice della strada» stabilisce sì che «ogni variazione di punteggio è comunicata agli interessati dall’Anagrafe nazionale degli abilitati alla guida» ma si tratta di un riferimento del tutto sganciato dal «provvedimento di revisione».
A sostegno di questa linea il Ministero aggiunge che «per partecipare ai corsi di recupero non è necessaria la suddetta comunicazione, bastando una telefonata al numero verde appositamente predisposto per farsi ristampare e inviare un duplicato di ogni singola comunicazione; da maggio 2013 è stata estesa la possibilità di partecipare ai corsi di recupero, oltre che con la comunicazione o con un suo duplicato, attraverso la stampa dal portale dell’automobilista o attraverso la stampa ottenuta presso l’Ufficio della Motorizzazione Civile; il provvedimento di revisione della patente è conseguenza automatica, materiale e normativa del ricevimento, da parte degli uffici della Motorizzazione Civile, della notizia proveniente dall’Anagrafe degli abilitati alla guida, dell’azzeramento dei punti della patente, Anagrafe che funge da collettore delle decurtazioni irrogate, senza compiti di verifica, né formale né sostanziale, in ordine alla legittimità delle procedure e degli atti posti in essere dagli organi accertatori; dalla natura non provvedimentale della comunicazione dell’Anagrafe».
Peraltro, non è previsto, osservano dal Ministero, alcun obbligo per la pubblica amministrazione di «comunicare tempestivamente agli utenti della strada ogni variazione del punteggio della patente». E comunque in questo caso ci si trova di fronte, sempre secondo il Ministero, a un caso particolare, poiché la norma impone «la revisione della patente quando nell’arco di un anno il titolare della patente commetta non contestualmente tre violazione del codice della strada che comportino ciascuna la perdita di almeno cinque punti della patente».
Conclude quindi l'Avvocatura che i giudici di merito hanno errato nell'ignorare «la natura speciale della fattispecie in esame, comportante la revisione della patente, indipendentemente dall’azzeramento dei punti, sulla scorta della presunzione legale della dubbia persistenza in capo al titolare della patente dei requisiti tecnici richiesti per la guida dei veicoli, superabile non già attraverso la partecipazione ad un corso di recupero dei punti persi, non prevista né possibile, ma attraverso la revisione della patente».

La decisione della Corte
Per la Cassazione  «l’art. 126-bis, comma 3, del codice della strada impone all’Anagrafe nazionale degli abilitati alla guida di comunicare ogni variazione di punteggio agli interessati» ma il Codice «prevede anche che ciascun conducente possa controllare in tempo reale lo stato della propria patente con le modalità indicate dal Dipartimento Ministeriale per i trasporti terrestri», e ciò significa che nella sostanza «ogni persona alla quale è stata contestata un’infrazione e che ovviamente ben conosce l’esito della contestazione stessa ha l’onere di visionare la propria posizione in modo da poter utilmente accedere al corso di recupero».
Peraltro, «la comunicazione della variazione di punteggio a cura dell’Anagrafe nazionale è atto privo di contenuto provvedimentale, avendo funzione meramente informativa» e «la sua fonte è costituita dal verbale di contestazione (ovvero dell’ordinanza-ingiunzione che, rigettando il ricorso amministrativo, confermi il verbale anche per la parte concernente la sanzione accessoria), ed è espressione del principio di trasparenza dell’attività amministrativa».
Infine, «il provvedimento di revisione della patente, che è atto vincolato all’azzeramento del punteggio, ed è anch’esso fondato sulla definitività dell’accertamento delle violazioni stradali in esito alle quali è stato decurtato l’intero punteggio dalla patente di guida, non presuppone l’avvenuta comunicazione delle variazioni di punteggio, tenuto conto che la persona interessata conosce subito, attraverso il verbale di accertamento, se e in quale misura gli sarà applicata la sanzione accessoria della decurtazione punti, e può conoscere in ogni momento il suo saldo-punti».
In sostanza, «il sistema così delineato garantisce la possibilità del recupero dei punti decurtati prima dell’azzeramento, per evitare la revisione». Inoltre, «ai fini della iscrizione ai corsi di recupero del punteggio non è richiesta la previa comunicazione della avvenuta decurtazione dei punti», e difatti con una circolare del maggio 2013 il Ministero dei Trasporti ha previsto «»la possibilità di iscrizione ai corsi previa esibizione della stampa del saldo-punti».
Secondo i giudici, infine, «non rileva il fatto che in precedenza l’iscrizione ai corsi fosse preclusa in assenza della comunicazione di avvenuta decurtazione dei punti, non solo perché la circolare, che è norma secondaria, non può incidere sulla esatta interpretazione della norma primaria, ma anche perché non è stato mai lamentato da parte dell’automobilista il rigetto dell’istanza di iscrizione ai corsi di recupero, fondata su tale ragione».

Scarica l'ordinanza
Autore: Avv. Veronica Luperini 2 novembre 2023
Il termine "sharenting" si riferisce alla pratica dei genitori di condividere costantemente contenuti online riguardanti i propri figli, come foto, video e ecografie. Questo neologismo deriva dall'unione delle parole inglesi "share" (condividere) e "parenting" (genitorialità). La pubblicazione in rete delle foto/video dei propri figli può comportare numerosi rischi che minacciano la privacy e la sicurezza dei minori tra cui: violazione della privacy e della riservatezza dei dati personali anche sensibili; mancata tutela dell’immagine del minore che a causa della permanenza in rete e dell’inevitabile perdita di controllo da parte dei genitore sul contenuto postato può essere utilizzata per fini impropri da parte di terzi (es. pedopornografia, ritorsioni etc); ripercussioni psicologiche sul minore rischiando di ritrovarsi con un'identità digitale costruita su immagini di cui non ha dato il proprio consenso, rischio di adescamento da parte di malintenzionati che possono sfruttare dati ed abitudini dei minori esposti online. Incremento episodi cyberbullismo E’ importante prestare attenzione quando si decide di pubblicare tali contenuti e seguire i suggerimenti forniti dal Garante della privacy tra cui: ✔️rendere irriconoscibile il viso del minore (ad esempio, utilizzando programmi di grafica per "pixellare" i volti) ✔️coprire i volti con una “faccina” emoticon; ✔️limitare le impostazioni di visibilità delle immagini sui social network solo alle persone che si conoscono o che siano affidabili e non le condividano senza permesso nel caso di invio su programma di messagistica istantanea; ✔️evitare la creazione di un account social dedicato al minore; ✔️leggere e comprendere le informative sulla privacy dei social network su cui carichiamo le fotografie.
Autore: Paolo Mascitelli 30 ottobre 2023
La retribuzione minima stabilita da un contratto collettivo nazionale sottoscritto dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative non basta a garantire il rispetto del principio di sufficienza e proporzionalità dettato dall’articolo 36 della Costituzione. La Corte di cassazione ha stabilito che anche in presenza di un accordo collettivo, spetta in ogni caso al giudice il potere di valutare la congruità del salario minimo stabilito dalle parti sociali, mediante una verifica costituzionalmente orientata di tale misura. Dalla "corretta lettura" dell’articolo 36 della Costituzione, infatti, la Corte giunge a ricavare il principio secondo cui ciascun lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Secondo la Corte (sentenze 27711 e 27769 del 2 ottobre 2023) l'articolo 36 della Costituzione evidenzia due diritti distinti ma interconnessi: il diritto a una retribuzione " proporzionata " in base alla quantità e qualità del lavoro e il diritto a una retribuzione " sufficiente" che assicuri una vita dignitosa per il lavoratore e la sua famiglia. La valutazione della congruità del salario minimo diventa, quindi, una valutazione flessibile dipendente dal contesto economico e sociale in evoluzione. La Corte ha introdotto un nuovo punto di vista sostenendo che per determinare il salario minimo non si debba considerare solo la soglia di povertà assoluta calcolata dall'Istat ma anche i concetti di sufficienza e proporzionalità. La Corte fa riferimento alla direttiva dell'Unione Europea sui salari adeguati che incoraggia gli Stati membri a garantire non solo i bisogni essenziali ma anche la partecipazione a attività culturali, educative e sociali. La valutazione che il giudice è chiamato a svolgere in merito alla congruità del salario minimo è dunque una valutazione fluida , dipendente dal contesto economico in evoluzione e non cristallizzata in parametri intangibili. Secondo gli Ermellini, quindi, si deve garantire al lavoratore una vita non solo non povera, ma anche dignitosa. In questo senso la Corte fa espresso riferimento alla recente direttiva Ue sui salari adeguati (n. 2022/2041) che sprona gli Stati membri a dotarsi di legislazioni nazionali orientate a garantire non solo il soddisfacimento di meri bisogni essenziali (quali cibo, alloggio, e così via) ma anche la legittima partecipazione ad attività culturali, educative e sociali. La direttiva Ue propone alcuni parametri per adeguare il salario minimo, come il potere d'acquisto dei salari rispetto al costo della vita e la distribuzione dei salari. Questo rappresenta un cambiamento rispetto alla precedente giurisprudenza che si concentrava su parametri come l'indice Istat di povertà o l'importo della Naspi o del reddito di cittadinanza. La Corte di Cassazione invita a valutare con prudenza gli scostamenti dalla contrattazione collettiva, ma le recenti sentenze rischiano di creare incertezza , passando dalla certezza dei contratti collettivi a un potenziale eccesso di discrezionalità nelle aule di tribunale. La massima: "Il giudice può discostarsi dal Contratto collettivo Il giudice deve fare riferimento innanzitutto alla retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria, dalla quale può tuttavia motivatamente discostarsi, quando la stessa entri in contrasto con i criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall’articolo 36 della Costituzione. Per la determinazione del giusto salario minimo il giudice può usare come parametro la retribuzione stabilita in altri contratti collettivi di settori affini e può fare altresì riferimento a indicatori economici e statistici, anche secondo quanto suggerito dalla direttiva Ue 2022/2041 del 19 ottobre 2022. Cassazione civile, sez. lavoro, 2 ottobre 2023 n. 27711 e n. 27769" Di altro avviso è il Tribunale di Milano che invece richiama espressamente la "prudenza" nel discostarsi dal salario indicato dal CCNL leader: "Ove la retribuzione prevista nel contratto di lavoro risulti inferiore alla soglia minima di sufficienza in base all’articolo 36 della Costituzione, il giudice adegua la retribuzione secondo i criteri costituzionalmente garantiti, con valutazione discrezionale. Ove però la retribuzione sia prevista da un contratto collettivo, il giudice è tenuto a usare tale discrezionalità con la massima prudenza, cura e attenzione e comunque con adeguata motivazione, giacché difficilmente è in grado di apprezzare le esigenze economiche, politiche e sindacali sottese all’intero assetto degli interessi concordato dalle parti sociali nel confronto che porta alla stipulazione del contratto collettivo. Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, 21 febbraio 2023 
Autore: Paolo Mascitelli 14 marzo 2023
La Cassazione torna a chiarire il "fenomeno" della colpa d'organizzazione rilevante ai sensi della punibilità dell'ente ex D.Lgs 231
Autore: PAOLO MASCITELLI 21 dicembre 2022
C orte di Cassazione , Sezione 4 , Penale , Sentenza 21 settembre 2022  n. 34943
Autore: Paolo Mascitelli 17 novembre 2022
Alla ricerca di una soluzione al problema di conformità.
Autore: Paolo Mascitelli 12 maggio 2022
Secondo la Cassazione n. 14760/22 è l egittimo il licenziamento della cassiera di un supermercato che per vincere i premi "cd fedeltà" carica i punti sulla propria carta, quando i clienti abbiano dimenticato o non abbiano proprio la tessera. Il caso A fronte del licenziamento disciplinare subito per i fatti in premessa, la dipendente assumeva a propria difesa la propria estraneità, deducendo che negli orari e nei giorni in cui risultavano eseguiti i fatti, ella si era alzata dalla propria postazione. I giudici di merito respingevano l'impugnazione, facendo gravare sulla dipendente l'onere della prova esimente, ritenendo già comprovata in via documentale la prova della giusta causa, in quanto tale fatto di per sé mina alla radice il rapporto fiduciario anche in ottica futura. Approdati dinanzi al giudice di legittimità, la Cassazione ha concluso per la legittimità della sanzione in funzione anche degli obblighi aziendali discendenti dal particolare rapporto di lavoro esistente tra le parti.T 
Autore: Paolo Mascitelli 22 febbraio 2022
Qualsiasi forma idonea a manifestare, chiaramente ed inequivocabilmente, la volontà di avvalersi dell'attività e dell'opera del professionista integra il presupposto necessario per dimostrare la debenza del compenso.
Autore: Paolo Mascitelli 3 marzo 2021
La Cassazione con ordinanza 5077/2021 rigetta il ricorso della ex moglie ed esclude il diritto all'assegno di divorzio, ribadendo le motivazioni già affermate dai giudici di secondo grado. Le indagini difensive del marito erano infatti in grado di fornire prova del fatto che la donna, nonostante le dimissioni formali al proprio datore di lavoro, continuava a prestare di fatto servizio nello studio professionale. Inoltre i problemi di salujte accusati dalla donna quali impedimenti per costituire forza lavoro autonoma e garantirsi un impiego, non si dimostrano fondati in quanto risulta essere nelle piene capacità lavorative.
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